Attualità - 22 marzo 2021, 13:18

Reparti pieni, ma non solo. L’altra faccia della pandemia: “In pronto soccorso ora arrivano i pazienti non Covid” [VIDEO]

Chi non si è curato per un anno, ora vede aggravarsi le patologie pregresse. Rianimazioni ormai sature, tempi d’attesa infiniti in ospedale e vaccini: intervista a Chiara Rivetti, segretaria regionale di Anaao Assomed Piemonte

Chiara Rivetti

Dopo oltre un anno di pandemia, gli ospedali torinesi e piemontesi si ritrovano di nuovo in affanno. Se 365 giorni fa a mancare furono mascherine e dispositivi di protezione individuale, oggi le criticità sono legate soprattutto ai reparti Covid pieni e alla carenza di posti in rianimazione.

Chiara Rivetti, segretaria regionale di Anaao Assomed Piemonte, evidenzia però un altro problema: le mancate cure ai pazienti non Covid. Pazienti con patologie pregresse che, ormai non curate a dovere da più di un anno, si stanno aggravando. 

- A un anno abbondante dall’inizio della pandemia, ci troviamo in piena terza ondata: quale situazione si vive negli ospedali torinesi?

Tutti gli ospedali sono in difficoltà, c’è difficoltà a reperire posti letto per ricoverare i malati. Questo perché? Abbiamo molti malati Covid, avevamo i reparti parzialmente occupati da pazienti Covid della curva terminale della seconda ondata e, a differenza della prima e della seconda ondata, abbiamo diversi malati non Covid. Pazienti con altre patologie. In pronto soccorso ci sono tante persone con altre patologie trascurate, che dopo un anno in cui sono stati sospesi interventi chirurgici ordinari e visite ordinarie, accedono in Pronto Soccorso a causa di un peggioramento. Se prima erano timorosi del contagio, oggi hanno comunque paura ma hanno anche necessità di trovare una risposta al loro bisogno di salute. Questi tre fattori (terza ondata, coda della seconda ondata e accesso dei pazienti non Covid), fanno si che gli ospedali siano in sofferenza.

- Una criticità riscontata è quella legata alle rianimazioni.

Sì, è di questi giorni la progressiva saturazione di tutte le rianimazioni del Piemonte. Abbiamo, soprattutto da Torino, trasferimenti nell’Alessandrino che è meno colpito e ha posti di rianimazione liberi. All’Asl To5 tutti i posti di rianimazione sono dedicati alla cura di pazienti Covid, non ci sono posti letto per la cura di pazienti non Covid. 

- Questo cosa comporta? 

Vuol dire che se è vero che le ambulanze, nel caso di paziente grave Covid free lo trasferiscono in un altro ospedale fuori dell’Asl To5, ci può sempre essere un peggioramento di qualcuno che arriva con le proprie gambe, è instabile, magari intubato e questo paziente instabile deve essere trasferito da Chieri, Moncalieri e Carmagnola in un nosocomio distante. E’ un trasferimento molto critico.

- Capitolo boarding: ci sono tempi d’attesa molto lunghi per essere presi in carico dagli ospedali torinesi.

Questo è certamente legato al sovraffollamento dei reparti e della difficoltà a dimettere. Avevamo chiesto di aprire l’ospedale del Valentino già 10 giorni fa. Si tratta di un presidio a bassa intensità di cura, non risolve il problema delle rianimazioni ma permette di dimettere velocemente malati relativamente stabili per far posto nei reparti di degenza ordinaria agli altri malati, evitando il boarding.

 

 

- Questione vaccini, come procede la campagna vaccinale? Lo stop ha condizionato tanto la gestione della vaccinazione?

Siamo stati molto critici verso lo stop, iniziato in Piemonte dopo un decesso che si è poi rilevato non legato alla somministrazione di AstraZeneca. Il problema è che i vaccini sono stati autorizzati, è stata verificata la loro sicurezza ma come per tutti i farmaci possono esserci effetti collaterali. Sono però estremamente rari, è certo che i benefici del vaccino sono superiori ai rischi. E’ incauto sospenderli, ogni stop ci costa circa 5.000 dosi giornaliere di somministrazione, a fronte di 500 morti al giorno in Italia per Covid. C’è poi il rischio di infondere una certa sfiducia nei vaccini: abbiamo verificato che c’è stata una disdetta di 1/3 delle prenotazioni di AstraZeneca.

- Quella che alcuni chiamano “battaglia” contro questo virus è in corso ormai da più di un anno. Qualcosa poteva e potrebbe essere gestito diversamente?

E’ certo che questa pandemia ci ha colti alla sprovvista e non è stato semplice gestire tutto. Per la terza ondata, considerato che abbiamo un anno alle spalle di esperienza, è necessario prevenire la diffusione del contagio. Avevamo chiesto che se doveva essere zona rossa, si doveva far partire subito, quando i dati dimostravano la diffusione allarmante del contagio. Anticiparla avrebbe voluto dire evitare morti, diffusione del contagio e anche la scuola e le attività economiche avrebbero riaperto prima. Ragionare con anticipo e non agire all’ultimo.

- E poi? Altro?

Il coinvolgimento dei medici di base, di famiglia. Sopratutto alla campagna vaccinale hanno aderito in pochi (1.100 su circa 3.000). E’ indispensabile favorire il loro coinvolgimento, migliorando la burocrazia che sta dietro alla difficoltà che hanno nel vaccinare nel loro studi. Vi è poi il coinvolgimento degli specializzandi: è difficile assumere rianimatori, ma abbiamo colleghi al quarto e quinto anno ormai alla fine del percorso di formazione che potrebbero dare una mano importante. In ultimo, è fondamentale vaccinare a tappeto: sarà l’unica possibilità che abbiamo non solo per limitare il contagio e gestire la pandemia, ma anche per riprendere a curare tutti i malati che, affetti da altre malattie, da un anno non riescono a essere curati, visitati. Non possiamo più trascurare i loro problemi di salute.

Andrea Parisotto

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