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Attualità | 23 ottobre 2023, 10:50

La testimonianza di una giovane torrese che vive nel quartiere dell’attentatore di Bruxelles

Anita Cornelli lavora per l’ambasciata maltese e frequenta la sede del Consiglio europeo: “Mi hanno raccomandato di togliere il badge appena esco dall’edificio per non diventare un target”

Anita Cornelli

Anita Cornelli

Ha ventisette anni, è di Torre Pellice, e vive a Schaerbeek, quartiere dove è stato arrestato Abdessalem Lassoued, l’uomo che una settimana fa, lunedì 16 ottobre, ha ucciso a Bruxelles due svedesi, contribuendo a diffondere la paura di attentati. Anita Cornelli, non nasconde di aver avuto timore nella notte dell’attentato e nella mattinata di martedì 17, quando l’uomo è stato rintracciato nel quartiere a circa dieci minuti in auto dall’alloggio in cui la ragazza vive da giugno. Ridimensiona tuttavia il clima di tensione: “In città le aggressioni di questo tipo sono ricorrenti, non è la prima sparatoria che avviene da giugno, quando mi sono trasferita a Bruxelles dalla cittadina di Leuven. Forse ormai fatti di questo tipo li mettiamo in conto. Insomma, il clima in questi giorni è molto decisamente meno teso rispetto a quello che si respirava dopo gli attacchi terroristici del 2016”. Allora gli attentati condotti nello stesso giorno erano stati tre e più pesante il bilancio delle vittime.

L’allarme di giovedì

Anche giovedì 19 ottobre, quando alcuni passeggeri di un tram cittadino hanno lanciato l’allarme, riportato dai media italiani, per un uomo che indossava un passamontagna e sembrava armato, la quotidianità di Cornelli come pendolare non è cambiata molto. L’uomo che ha acceso i sospetti è sceso proprio alla fermata di Schaerbeek. “Tornando a casa in serata ho notato che sulle strade c’era più traffico automobilistico del solito, credo quindi che molti abbiano scelto di non usare i mezzi pubblici, ma tra i miei compagni di viaggio non si sentiva una particolare tensione” racconta.

Le misure di sicurezza

A Schaerbeek, quartiere multietnico, lei continua a sentirsi al sicuro. Nonostante sappia che ci vivono fondamentalisti islamici: “È uno dei due quartieri della città dove spesso avvengono retate e dove sono state individuate, già in passato, cellule terroristiche”. Comincia a respirare la paura invece attorno ai palazzi delle istituzioni europee. Cornelli si reca in zona tutte le mattine perché lavora come assistente amministrativa per l’ambasciata maltese: “Il giorno successivo all’attentato chi lavora per le istituzioni europee ha svolto le sue mansioni da remoto e da questa settimana i protocolli di sicurezza per accedere agli edifici sono diventati più stringenti”.

Ciò che più l’ha impressionata, in questi giorni, sono state forse le raccomandazioni che le sono state impartite per la sua incolumità: “Giovedì ho ricevuto il badge per entrare e muovermi nella sede del Consiglio europeo ma mi hanno raccomandato di toglierlo subito, appena fuori dall’edificio. Il rischio infatti è di diventare in città un target per un attentatore”.

La tranquillità dei belgi

Nonostante le precauzioni, la sua impressione è che il fatto abbia una risonanza maggiore oltre i confini nazionali e che i brussellesi ridimensionino quanto successo: “Lunedì sera ho saputo dell’attentato da mia madre rientrando a casa, quando mi ha telefonato preoccupata: sui media locali che consulto solitamente il fatto non stava avendo lo stesso rilievo”. La sera stessa Cornelli ha chiamato la sua azienda per sapere se il giorno successivo si sarebbe dovuta recare al lavoro: “Il mio capo, che vive qui da cinque anni, mi ha detto di non preoccuparmi perché a Bruxelles aggressioni del genere capitano e che l’evento che avrebbero avuto in programma il giorno successivo non sarebbe stato annullato”.

Elisa Rollino

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